Costa occidentale greca: siamo di ritorno dall’isola di Itaca e nella luce del tardo pomeriggio la costa ci scorre alla nostra sinistra con monotona regolarità, quando, in fondo ad una ampia baia, vedo qualcosa di insolito che rompe la continuità della costa; la distanza non mi permette di distinguere i particolari e stimolato dalla curiosità penso che potrebbe valer la pena di ritardare il rientro per investigare con maggiore attenzione. Segnaliamo a Claudio, che ci segue a breve distanza, ed entrambi cominciamo ad accostare a terra per ridurre la distanza. Al termine della deviazione entriamo nella baia e vediamo lunghe file di vecchie navi ormeggiate bordo a bordo che attendono, divorate dalla ruggine, una improbabile partenza. Lo spettacolo che si presenta ai nostri occhi è decisamente inconsueto e a lento moto riduciamo le distanze entrando, a poco a poco, a far parte dell’irreale paesaggio.
Il rumore dei fuoribordo diventa un borbottio sommesso che evidenzia i rumori di sottofondo: gli schiocchi delle gomene di ormeggio che si tendono e gli scricchioli metallici delle strutture che si dilatano seguendo le variazioni termiche. L’acqua è immobile appena increspata dal lento avanzare dei gommoni e perfino il sole sembra scaldare meno di prima: siamo entrati nel cimitero delle navi morte.
Cedo la barra per scattare qualche foto, a futura memoria di un incontro a dir poco unico. Con l’occhio nel mirino l’isolamento dagli altri è maggiore, la mia visione si riduce al solo campo inquadrato e mentre osservo la scena inizio a pensare a quello che vedo.
Ho sempre pensato che l’uomo sia intimamente legato alla nave più di ogni altro manufatto da lui stesso creato. È infatti la nave l’unica che identifica in sé casa, mezzo di locomozione, luogo di socializzazione e lavoro. È la nave l’unico legame con la terra ferma durante le interminabili traversate. È la nave l’unico antidoto nel terrore della tempesta dove la furia dell’onda in arrivo arresta, ogni volta, il cuore per un lungo interminabile attimo. È la nave che riesce a catalizzare le capacità di ognuno nella certezza che il proprio errore può essere la morte per tutti. È stata infine la nave che, per prima, ha permesso all’uomo di scoprire la vastità del mondo e immediatamente dopo di accorciarne le distanze.
Per queste straordinarie capacità ho sempre considerato naturale che la sua ultima destinazione dovesse essere verso la profondità del mare.
È forse per questo che la vista di quelle navi ammassate, in attesa di essere tagliate in lamiere e avviate alla fonderia in omaggio ad una implacabile logica di profitto, mi suscitava inconsciamente un profondo senso di disagio.
Improvvisamente mi resi conto con chiarezza di dove mi trovavo: non ero entrato nel cimitero delle navi morte, mi trovavo in un posto di gran lunga peggiore: ero entrato nel cimitero delle navi dimenticate.