25 aprile 2011

La baia del Navàgio


Isola di Zacinto, il mare è deserto e ormai navighiamo da qualche ora. Sulla superficie immobile i gommoni avanzano con implacabile monotonia mentre la costa ci scorre di fianco in un susseguirsi di insenature dove le rocce riflesse sulla superficie del mare creano effetti ottici dai colori mutevoli, quasi una sorta di magnifico caleidoscopio creato solo per i nostri occhi.
Ad un tratto nella costa si apre la profonda ferita di una cala dove il mare si colora di un azzurro assoluto orlato, sul fondo, da una spiaggia di sabbia bianca. Le pareti che circondano la cala sono molto alte e il sole non è ancora arrivato ad illuminare direttamente l’interno; in lontananza lo spettacolo mi appare come una visione irreale: dove i contorni degli oggetti a terra sono sfumati dall’illuminazione diffusa mentre il mare per contrasto appare ancora più illuminato e vivo.




Entriamo e via, via che la distanza si riduce distinguo sulla spiaggia una macchia scura che contrasta con il candore della spiaggia, un battito d’occhi e la macchia appare per quello che è: il relitto di una nave depositata a riva dall’impeto delle onde.
Siamo entrati nella baia del Navàgio, immortalato da innumerevoli cartoline e foto pubblicitarie, ma la realtà che ci circonda è infinitamente diversa dalle immagini che ho visto fatte di colori urlati più per richiamare l’attenzione che per registrare una realtà evidente.




Siamo soli, sospesi dentro uno scenario fatto di immobilità irreale, non un rumore oltre al ronzio del fuoribordo, il mare è mosso dall’onda di prua, anche i colori non sono più quelli di prima e perfino l’azzurro del mare è diventato più freddo, quasi ostile.
La furia delle onde ha spinto la nave sempre più in profondità, all’interno della baia, fino gettarla sulla spiaggia, condannandola per sempre alla vista di tutti coloro che, nel tempo, sono stati più attratti dall’oggetto che dal fatto. La nave è oramai ridotta a patetico oggetto violentato dalle scritte di coloro che, immaginando di conquistare un frammento di immortalità hanno scritto il proprio nome e la data sulle lamiere corrose dalla ruggine.
Non posso fare a meno di domandarmi perché lo stesso mare che ha sempre accolto nelle silenziose profondità della sua quiete i relitti di tutte le navi che lo hanno attraversato ha qui negato la propria l’ospitalità a questa nave, quasi fosse colpevole di un reato di gran lunga peggiore all’arroganza della sfida di chi lo attraversa.




Mare che con la furia delle tue onde hai condannato quella nave allo scempio di un naufragio senza pace dimostra un atto di clemenza e utilizza la forza di quelle stesse onde per accoglierla finalmente insieme alle altre.


(ναυάγιο [navágio], il naufragio)






1 commento:

  1. l' immagine con i relitti appoggiati alla parete rocciosa, l'azzurro deciso del mare e il bianco della sabbia. La sabbia e il mare sono il luogo dove la luce è chiara e intensa come la vita, come il giorno, sulla parete in basso i relitti e ai lati la luce sfuma fino all'oscurità come la sera come la vita che si spegne

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