7 dicembre 2010

L'isola che (non) c'è



Nord della Sardegna, Ila è già sveglia da qualche ora e abbiamo deciso di salpare di primo mattino per un giro tra le isole dell’arcipelago. Data l’ora il mare è deserto e ci godiamo la traversata in completa solitudine. Poco dopo la partenza Ila si addormenta avvolta nel suo giubbotto salvagente arancione, cullata dal rumore del fuoribordo e dal movimento liquido del gommone che scivola sul mare immobile come il cristallo. La costa scorre veloce alla nostra sinistra e in breve arriviamo in prossimità della nostra meta, ma Ila continua a dormire e non vogliamo interrompere il sogno che riusciamo a intuire nell’espressione del suo volto.
Per guadagnare tempo riduco l’andatura e cominciamo il periplo dell’isola sperando in un provvidenziale risveglio, l’andatura ridotta mi permette di accostare aiutandoci a cogliere i dettagli del paesaggio che ci scorre a lato, quando, nascosta da una punta, ci appare una piccola cala deserta: spiaggia bianca e acqua di una trasparenza irreale. L’appuntamento è di quelli da non mancare e Ila esce dal suo sogno e apre un occhio, ci guarda, ruota la testa, guarda la cala e voltandosi nuovamente verso di noi sorride: l’invito è chiaro e senza dire una parola accosto a terra.
Siamo ormeggiati e sbarchiamo le nostre cose: una borsa e un secchiello di plastica verde, inseparabile compagno di giochi di Ila.
Abbiamo la sensazione di essere estranei, non invitati, in casa d’altri e evitiamo di camminare sulla spiaggia per non contaminare l’equilibrio del luogo con le nostre orme, ma questa sorta di pudore irrazionale non contagia Ila che decide di gattonare sulla battigia; l’avanzare è incerto e dietro di lei, dopo il suo passaggio, la superficie levigata della sabbia ci appare martoriata dai solchi di profonde ferite. Ci guardiamo rendendoci conto di pensare alla stessa cosa e vorremmo prenderla per interrompere lo scempio del suo incedere da ruspa ma prima di arrivare ad attuare la nostra idea ci accorgiamo che il mare è stato più veloce di noi e la risacca della piccola onda cancella e livella i solchi; allora capiamo che come estranei siamo sicuramente non invitati ma forse benevolmente sopportati.
Il tempo scorre veloce passato a giocare sulla battigia e nell’acqua bassa ma senza mai valicare il confine dove tolleranza benevola si trasforma in dolore insopportabile, e presto arriva l’ora di rientrare, salpiamo l’ancora con la certezza che per tutta la vita ci ricorderemo dell’isola e della magia irreale della sua cala, e mentre il gommone scava un solco nel mare cobalto sorrido al pensiero che l’isola e la sua meravigliosa cala ci avrà certamente già dimenticato e non conserverà minimamente il nostro ricordo.



1 commento:

  1. Gran bel blog prof! è interessante, anche perchè mi ha sempre affascinato il mare. Spero di ritornare anch'io in Sardegna quest'estate, ci sono stata già due volte e mi è piaciuta un sacco!!!!!!!!!!!!

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